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Recensione di “Progettare grandi birre”

Chi non ricorda con orrore le esperienze tra i banchi di scuola, durante l’ora di storia? Soprattutto per le date, che di per sé non hanno senso. Se però rapportiamo questi infidi, laconici e identici numeri con altri della loro razza ecco che magicamente l’insieme acquista un senso. Siamo nel 1996, in piena rivoluzione craft americana, il movimento birraio è già qualcosa di sensazionale ma manca una tradizione ben definita, come quella nel vecchio continente, per intenderci. Ed ecco spuntare Ray Daniels, nei ben indossati panni di divulgatore. In molti hanno rimproverato all’autore di essersi addormentato sul banco, probabilmente stanco per via delle ore piccole fatte nello scrivere questo libro, durante la lezione sul Belgio. Ogni autore (parliamo di quelli seri e credibili, sia chiaro) ha bene in testa la linea di demarcazione tra ciò di cui può scrivere e ciò di cui non può e il caro Ray non è da meno. L’impresa sarebbe stata troppo grande per lui, o perlomeno troppo lontana da ciò che il suo libro sarebbe dovuto essere. La scelta saggia è stata di lasciar parlare qualcun altro per il belgio, e tra questi vi è anche Stan Hyeronimus. Premesso ciò, partiamo.

Il libro è suddiviso in due parti che chiameremo produzione (lato ingredienti) e stili.

Parte prima

Produzione si concentra sui calcoli di cui a mio parere è necessario essere a conoscenza almeno in linea generale perché, invece di delegare tutto ad un software (certamente comodo ed indispensabile), il bravo birraio dovrebbe saper svolgere i calcoli necessari per produrre una buona birra, esattamente come si faceva prima dell’avvento del computer, anche perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Ricordiamoci sempre che il foglio di calcolo è utile, ma non fa la birra, né miracoli, né tantomeno comprende gli eventuali problemi. Quel compito spetta al birraio, e solamente a lui.

La descrizione di come si caratterizzano gli ingredienti (anche gli estratti di malto) è leggera e serve a fornire strumenti che sono indispensabili per proseguire. Daniels mette anche a disposizione una lista di malti e luppoli parecchio datata, quindi poco utile. Un birraio alle prime armi potrebbe comunque trarre insegnamento dalla descrizione dei malti, al fine di comprendere cosa si utilizza in ricetta. Utili sono certamente anche i consigli in fase di stesura delle ricette: ciò che il libro mira a realizzare infatti, come si può con poca fantasia evincere dal titolo, è fornire al lettore gli strumenti per pensare ad una birra lato tecnico, conoscere gli ingredienti e mettersi con carta e penna, senza l’ausilio di alcun computer, a scrivere di proprio pugno una ricetta, pienamente consapevole del tutto.

Parte seconda

C’è chi è innamorato della prima parte e liquida in fretta la seconda mentre io, nel mio piccolo, sono di tendenza contraria. Se la parte prima è utile e piacevole, la seconda è un capolavoro. Qui l’approccio scientifico e quello storico si sposano alla perfezione, trovando la loro felicità coniugale guidati dal sapiente autore. Storia e scienza, né più, né meno. Inquadrando uno stile attraverso la sua storia, si passa al lato produttivo seguendo gli ingredienti: malto, luppolo, acqua, lievito e il suo lavoro, in quest’ordine. Utili le tabelle e le analisi che paragonano parametri ed ingredienti su due fasce in parte contrapposte: birre commerciali e birre HB che hanno subito una scrematura alla NHC, arrivando in finale. Per i più pigri o per chi voglia scolpirsi i concetti nel cranio a fine capitolo c’è una tabella che illustra egregiamente i punti chiave e in diretto dialogo col paragrafo smilzo intitolato “Conclusioni”, poco prima di questa summa. Un capitolo per stile o famiglia di birre e si arriva molto lentamente alla fine, sentendosi un po’ come il turista che, guidato dal proprio cicerone, ha fatto un bellissimo tour di un museo che racchiude antichità e tecnologie.

Questi gli stili trattati nel libro:

  1. Le ale d’orzo tedesche
  2. Barley wine
  3. Bitter e Pale ale
  4. Bock
  5. California common
  6. Birre alla frutta
  7. Mild e Brown ale
  8. Old ale
  9. Pils e altre lager chiare
  10. Porter
  11. Scottish e Scotch ale
  12. Stout
  13. Vienna Märzen e Oktoberfest
  14. Birre di frumento

Lo stile che mi è piaciuto di più? Forse Porter, forse Birre di frumento, forse Pils… Quello che mi ha lasciato più perplesso è stato Birre alla frutta, non tanto per la scelta dell’argomento, quanto per come è stata affrontata la trattazione, pur rimanendo nel tracciato degli altri stili. Avrei preferito dettagli più tecnici e qualche riflessione maggiore sull’argomento, magari con qualche esempio concreto in merito e un accenno maggiore alle tempistiche, anche se ovviamente ogni frutto ha le sue e ha storia a sè.

Daniels sa essere tecnico, certo, ma fidatevi che non appesantisce la lettura come certi altri testi che, per necessità, abbondano di tecnicismi. Un libro che ho letto e riletto e tengo a portata di mano come manuale da consultare anche in fase di stesura delle ricette… ma questa potrebbe essere una mia deformazione professionale. Da comprare? Assolutamente sì. Se siete alle primissime armi e non sapete bene come produrre prendetevi tuttavia un buon testo base come “La tua birra fatta in casa” (recensito in questo articolo) o “How to Brew” di John Palmer; “Progettare grandi birre” si colloca al livello, quello immediatamente successivo, e vi accompagnerà anche dopo.

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Nota all’edizione consultata: Ray Daniels, Progettare grandi birre, Milano, Edizioni LSWR, 2011

Iacopo Zannoni

Da sempre bevitore di birra, scopre quasi per gioco il mondo dell'homebrewing e ne rimane incantato. Paranoico, attivo e molto noioso, nella vita è attualmente un laureato in lettere con velleità editoriali. Nel tempo libero cerca di spacciarsi come macellaio.

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