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L’ossigeno nella birra: quello disciolto

Nella scorsa puntata abbiamo parlato di ossigeno dal lato teorico. Abbiamo capito i composti e le birre più suscettibili, non che non si sapesse quali fossero. Semplicemente, abbiamo cercato di dare una risposta da un punto di vista chimico a dei fenomeni conosciuti ai più. Si sapeva cioè come certe cose accadessero, ma non si sapeva il perché.

Concentrandoci sulla fase a caldo abbiamo capito quando dovremmo prestare più attenzioni: utilizzando cioè quali particolari tipi di ingredienti, sia con acqua, malto, luppolo che lievito.

Quest’oggi invece scendiamo un po’ più nel pratico parlando soprattutto di ossigeno a freddo e inquadrandone i punti critici di assorbimento. Per qualcosa di più specifico, punto per punto, ci vediamo nelle prossime puntate.

L’ossigeno disciolto e quello totale

Immaginiamo di poter scannerizzare a livello atomico il contenuto di una bottiglia di birra, piena e tappata.

Noteremo subito due macro-differenze, ravvisabili anche senza i superpoteri: una parte piena di liquido, l’altra di aria o, meglio, materia in forma gassosa. Sulla prima c’è poco da dire… è birra. Dunque un insieme di proteine, sali minerali, acqua, alcool, zuccheri di tutti i tipi, enzimi, vitamine e diavolerie varie. Solubilizzato in questa parte c’è tuttavia un altro elemento: la co2, molto gradita. Ciò che invece non gradiamo è l’ossigeno, anch’esso in soluzione. Parliamo dunque di ossigeno disciolto, descritto nelle pubblicazioni accademiche di gente studiata come Dissolved Oxygen (DO).

Nello spazio di testa invece, quello senza liquido, ci sarà un misto di gas, tra cui sempre l’ossigeno. Parliamo di ossigeno di testa o, per i più anglofoni, Head Space Oxygen (HSO).

DO e HSO insieme vanno a formare il TPO (Total Packaged Oxygen) che è sostanzialmente il totale dell’ossigeno in bottiglia.

Questi tre valori si misurano solitamente in parti per milione (ppm) o in parti per miliardo (ppb). Per capirci, una parte per milione (ppm) è equivalente a 1µg/mL, cioè 1 mg ogni litro.

Punti critici di controllo e assorbimento

Pensiamo a quanti spostamenti del prodotto facciamo quando produciamo.

Solamente per quanto riguarda la parte a caldo, un’infinità:

  1. Inserendo l’acqua in pentola, specialmente se dall’alto;
  2. Quando maciniamo il malto e la parte amidacea viene esposta all’aria. Se poi lasciamo il tutto a riposare per un giorno o più prima di cuocere la certezza di ossidare i costituenti del fermentabile è rilevante;
  3. Quando inseriamo i grani in pentola, mescolando, rompendo i grumi… in poche parole in mash in;
  4. Lasciando le trebbie scoperte durante la fase di sparge, anche a causa dell’acqua che percola sotto al letto, incamerando ancora più aria;
  5. Durante il whirpool e il successivo raffreddamento (specie se si mescola usando la serpentina ad immersione, per velocizzare il processo).

A freddo possiamo virtualmente commettere errori in meno punti, ma molto più fatali:

  1. Se ossigeniamo e poi attendiamo prima di inoculare il lievito;
  2. In un qualsiasi punto successivo alla fine dell’attività aerobica del lievito, specie durante:
  • Trasferimenti;
  • Dry hopping;
  • Ogniqualvolta apriamo il fermentatore;
  • Imbottigliamento (soprattutto con priming).

Questo perché il lievito, aerobo facoltativo, con un mosto a densità iniziale consuma più ossigeno dovendo lavorare tanto. Quando la birra è invece ormai pronta (e di zuccheri in giro se ne trovano ben pochi) non riesce a consumarne più di tanti perché da fermentare non c’è rimasto praticamente nulla. La spiegazione dovrebbe essere un po’ più articolata, ma per la nostra trattazione questo può bastare.

La purezza della CO2, ovvero ciò a cui nessuno pensa

“La CO2 è CO2!” si sente spesso dire. NO, santo Iddio, no! La CO2 non è tutta uguale.

Quella delle bombole, per esempio, ha un grado di purezza variabile. Generalmente quella venduta come alimentare è meno contaminata da altri gas presenti in piccolissime quantità, ma che sono pur sempre lì.

Perciò, per chi fa trasferimenti sotto pressione, carbonazione forzata etc.. etc…: investite in CO2 alimentare. Certamente stiamo parlando di relative piccolezze, ma in fin dei conti di quanto può incidere il sovrapprezzo dovuto all’acquisto di una ricarica di anidride carbonica appositamente studiata per le bevande? Un paio di centesimi a trasferimento? Suvvia, facciamo le cose come vanno fatte.

Pensate al perché i fusti una volta aperti, anche se pre-evacuiamo le linee ed eseguiamo tutto alla perfezione, andrebbero consumati al più presto. Potrebbe essere anche a causa degli altri elementi che mettiamo nella birra dalla nostra bombola, oltre all’anidride carbonica? Dunque inseriamo anche la CO2 della bombola nei punti critici di assorbimento di cui sopra.

L’ossigeno totale, verità e menzogne

Supponiamo di aver fatto tutte le cose in maniera accettabile, almeno apparentemente. Fermentiamo evitando travasi, attacchiamo la nostra asta di imbottigliamento al fermentatore o al sifone e facciamo priming in bottiglia. Supponiamo a questo punto di pensare che se c’è qualche parte di O2 in più, questa verrà consumata dal lievito durante la rifermentazione. Tanto non ci siamo ancora dotati di un sistema per la contropressione e lo spunding.

Recenti studi dell’università Cattolica di Lovanio hanno smentito questa convinzione generale, dimostrando che il lievito fatica a consumare persino l’ossigeno nello spazio di testa, figurarsi quello disciolto!

In sostanza è stata presa in esame la presenza di ossigeno disciolto nello spazio di testa di una birra imbottigliata senza le dovute precauzioni, ossidandola di proposito. Al giorno zero le ppb di O2 erano 7000, al primo 3000 per poi aumentare gradatamente fino alle 8000 ppb al quarto giorno. In sostanza esso non solo non è diminuito ma è persino aumentato! Per un birra imbottigliata invece tramite pre-evacuazione ma niente jetting (sospetto dunque già carbonata) si partiva dalle 3500 circa per poi aumentare fino alle quasi 5000 ppb al primo giorno e poi calare molto lentamente.

Perciò quando parliamo di ossigeno in bottiglia pensiamo a quello presente già nella birra, ok, ma anche a quello che, presente nello spazio di testa, andrà a disciogliersi nella birra e ad ossidarla; o viceversa: ossigeno disciolto nella birra che passa allo spazio di testa.

Abbiamo dunque capito che neanche tutto l’ossigeno di testa riesce ad essere consumato dal lievito durante la rifermentazione in bottiglia.

Gli obiettivi di ossigeno disciolto

Detto ciò, sarebbe meglio lasciarvi con una sorta di linea guida su quanto ossigeno disciolto sarebbe meglio avere durante la fase a freddo.

  • In fermentatore: dalle 3 alle 10 ppb;
  • Dopo un trasferimento: dalle 18 alle 25 ppb;
  • Una volta imbottigliata: meno di 100 ppb

Questo sempre seguendo le indicazioni della solita gente studiata di cui sopra.

Tuttavia nella pratica per noi homebrewers è quasi impossibile dotarsi di sistemi di misura affidabili. Su internet si trova qualcosa a partire da un centinaio di euro ma sono strumenti le cui letture, a mio parere, possono non essere totalmente affidabili per i nostri scopi, specie per misurare il TPO in bottiglia. Lasciandovi questo breve elenco vorrei tuttavia mostrarvi i punti critici di assorbimento, quelli che inevitabilmente porteranno più parti di ossigeno nel prodotto.

Il punto critico è e sarà sempre l’imbottigliamento.

Se non pre-evacuiamo le nostre linee anche il trasferimento non sarà dei più indolori. Ma tutto ciò lo vedremo nella prossima puntata, parlando degli spostamenti di birra.

 

 

Iacopo Zannoni

Da sempre bevitore di birra, scopre quasi per gioco il mondo dell'homebrewing e ne rimane incantato. Paranoico, attivo e molto noioso, nella vita è attualmente un laureato in lettere con velleità editoriali. Nel tempo libero cerca di spacciarsi come macellaio.

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