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Il lievito lager: impariamo a gestirlo

Quello delle basse fermentazioni è un mondo semplice. Una volta che si è imparato a gestire il lievito al meglio, ci si accorge che produrre una buona Ale è forse più difficile rispetto ad una lager. Il ceppo, così come il tipo di lavoro che va a svolgere, è differente, ma stiamo pur sempre parlando di saccaromiceti. Chi mi conosce sa che mi cimento spesso e volentieri in basse fermentazioni (ed è con queste che mi sono piazzato meglio a concorsi locali e nazionali), perciò mi reputo una persona che su questo mondo potrebbe aiutare un neofita.

La strumentazione

Prima di tutto togliamo qualsiasi dubbio a chi ancora si dovesse chiedere se servono frigoriferi per produrre lager. Sì: dovete per forza avere un frigorifero a disposizione, meglio ancora se impostato come camera di fermentazione. In teoria dovreste averne uno anche solo se producete Ale, ma in quest’ultimo caso con qualche stratagemma (di quelli spiegati in questo articolo di Brewing Bad) potete ovviare all’inconveniente. Con le lager purtroppo, non ci sono stratagemmi: dovete avere per forza un frigo e, per favore, non utilizzate quello di casa dove tenete la salsiccia, i funghetti di campo, le acciughe e gli avanzi di minestrone del giorno prima: vostra moglie vi ringrazierà (ma non vi prometto che non le buscherete lo stesso, eh!).

L’inoculo

Altro punto molto dolente per i più è la temperatura di inoculo che i saccaromiceti di questa razza richiedono. Mentre per le Ale è possibile (e anzi consigliabile) inoculare a tre/quattro gradi in più rispetto alla temperatura di fermentazione per abbreviare il lag time e favorire l’attività aerobica del lievito, con le lager bisogna inoculare ad una temperatura più vicina possibile a quella di fermentazione perché a volte, specie con i ceppi Bohemian, si potrebbe incorrere in un blocco fermentativo già in partenza. Ciò vuol dire che se lavoriamo ai consueti 10-12 gradi dovremmo attrezzarci per avere il mosto ad una temperatura così bassa, o con pompa di riciclo e acqua ghiacciata o con la camera di fermentazione. Queste cose non me le sto inventando di sana pianta, ma sono facilmente riscontrabili con quanto dice White nel suo libro sul lievito.

Se volete un aneddoto posso raccontarvi di quand’ero giovane e inesperiente e inoculai il fondo di fermentazione di una pils direttamente in un mosto di Bock, alla bellezza di diciotto gradi: riuscì a rimediare (in qualche modo), ma non dico con quale spavento e quanti complimenti mi rivolsi, anche perché la fermentazione partì dopo appena un’ora e mezza.

Altro fattore importantissimo è il tasso di inoculo, che deve come minimo essere doppio rispetto ad un’alta fermentazione, come ho già accennato in questo post.

La gestione della fermentazione

Fermentare le lager, seguiti i consigli sopra, è di gran lunga più facile delle ale. La fermentazione tumultuosa è molto meno tumultuosa, quasi calma, l’inerzia termica dovuta all’esotermia da lavoro del lievito più soft, i tempi per commettere qualche puttanata (perdonate il francesismo) nel gestire le temperature più lunghi. È appunto solamente coi tempi più lunghi di lavoro che l’homebrewer medio si trova in difficoltà. Io, dal mio canto, sono della scuola di pensiero che le lager bisogna produrle e poi dimenticarsele lì… non troppo a lungo però!

Lo sbaglio che in molti fanno è la gestione del famosissimo diacetyl rest. Nella mia ignoranza, il secondo anno di homebrewing produssi una pils senza fare questo step e venne fuori un concentrato di zolfo da far impallidire la scatola di fiammiferi più audace. Diacetile, zolfo e amenità varie sono difetti in cui si rischia sempre di incorrere se saltiamo a piè pari la sosta. Un paio di giorni a sedici gradi oppure a diciotto, una volta “conclusa” la fermentazione non dovrebbero far male. Ci sono homebrewers che hanno sempre fatto questa pausa a 2/3 gradi in più rispetto alla temperatura di fermentazione, magari allungando i tempi. Da come la vedo io, entrambi i metodi non sono da condannare.

Parliamo di tempi e temperature

Premettiamo che ogni birra e ogni lievito hanno storia a sé e che bisognerebbe analizzare il caso specifico, senza tirare le somme sulla base di quattro righe che servono da linee guida generali.

Avete letto la frase sopra? Bene.

  1. Abbiamo una pils a 1050 con lievito W34/70 in dosi congrue: possiamo tenerci sui dodici gradi per due settimane, fare una pausa per il diacetile e poi lagherizzare per tre/quattro settimane, sempre controllando la densità prima di trarre conclusioni di sorta.
  2. Una bock sui 1070, con lievito W34/70: abbassiamo la temperatura di fermentazione a 10-11 gradi e prolunghiamo i tempi. Di quanto? Ve lo dirà la densità. Lagherizziamo anche di più, male non fa e, per piacere, travasiamo la nostra birra.
  3. Una doppelbock dai 1080 ca. può richiedere anche un mese solamente per la fermentazione, al fine di evitare un fastidiosissimo warming. In questi casi è bene tenere la birra condizionata al freddo per parecchio tempo, per pulirla da piccole sbavature e renderla limpida e bella.
  4. Per chi volesse accorciare i tempi le soluzioni esistono e sono due. La prima consiste nell’utilizzare lieviti del ceppo california common/lager. Questi hanno un profilo diverso rispetto ai lager tradizionali. Diciamo che sono un compromesso qualora volessimo produrre birre che dovrebbero essere a bassa fermentazione. Il secondo è il Fastlager, divulgato qui in Italia da Davide di ROVIDbeer in questo articolo. Attenzione però! A mio parere per provare con questo metodo dovrete avere modo di misurare la densità giornalmente e esperienza alle spalle nella produzione di lager brassate seguendo il barbosissimo metodo tradizionale. Solo così avrete un metro comparazione ed esperienza su cui confrontarvi e da cui partire.

La rifermentazione: quando tutto tace

Si parla tanto di tempi, temperature, ricette, lieviti, gestione e controgestione. Ma una volta che la birra è in bottiglia? Tutto tace. E non solo sulle fonti di prima consultazione dell’homebrewer italiano medio, ma anche nelle nostre bottiglie.

Immaginatevi la scena: vengo da due latte spacciate come “pils” ad alta fermentazione, due o tre E+G e alla mia primissima all grain mi butto su una Pils ceca con quell’aroma travolgente di Saaz; ammostamento da manuale, cotta perfetta, fermentazione impeccabile, lagherizzazione di un mese e mezzo; imbottiglio e la birra è speciale, poi… poi dopo una settimana, quindici ore, due minuti e tre secondi prendo la mia prima bottiglia dicendo di voler verificare la carbonazione, giusto per poter dormire sonni tranquilli, stasera. Con un sorriso stampato in faccia che manco un bambino a natale avvicino l’apribottiglie al mio tappo a corona e, trattenendo il respiro, con un unico movimento secco mi apro la birra.

Panico.

La bottiglia non fa quell’amatissimo “ftzzzz”… la schiuma manco a pregarla versando dal terzo piano in giardino… e la birra è assolutamente, inspiegabilmente, spietatamente piatta. In preda ad una crisi isterica faccio un set fotografico che neanche alle pornostar più affermate, pubblico su cinque social diversi e venti gruppi dedicati: chiedo cos’è andato storto.

La vita fa schifo.

Chi si cimenta per la prima volta con una bassa dovrebbe assolutamente sapere che tutto ciò è assolutamente normale. Se la birra non riferimenta alla velocità di una ale possiamo dormire sonni tranquilli, in fin dei conti durante la fermentazione ci abbiamo pur messo il doppio del tempo, no? Un fattore da considerare e non sottovalutare è il lievito che andiamo a mettere in bottiglia: arriva stanco e provato da un lungo lavoro a temperature molto basse. Già che ci vuole il doppio del lievito rispetto ad un’alta fermentazione, ci mettiamo anche la lagherizzazione che serve a farlo precipitare per eliminarlo dalla birra da confezionare… e il gioco è fatto: il lievito tarda a svolgere il suo lavoro.

Comunque sia, cari birrai, non temete. Se avete messo lo zucchero e non avete lagherizzato per più di due mesi, prima o poi qualcosa dovrebbe muoversi e si muoverà. Posso tranquillizzarvi raccontandomi le mie esperienze: inizio rifermentazione dopo tre settimane di bottiglia per la prima birra; dopo due settimane e mezzo nella seconda; dopo un mese nella terza. Arrivato ad un certo punto mi sono iniziato a chiedere come mai non avessi ancora imparato ad usare lievito da rifermentazione come, ad esempio, F2 della Fermentis. In dosi appropriate non renderà la vostra birra torbida e i tempi di latenza si ridurranno sensibilmente.

Qualora non aveste del lievito a disposizione vi posso consigliare di alzare la temperatura di rifermentazione (tanto le state rifermentando in frigo, vero?) rimanendo comunque sotto i diciotto gradi per sicurezza (sarebbe un peccato sporcare il profilo proprio a questo punto).

Non temete dunque, le vostre birre si gaseranno, hanno solamente bisogno di tempo e tanto amore, proprio come i fiori.

Iacopo Zannoni

Da sempre bevitore di birra, scopre quasi per gioco il mondo dell'homebrewing e ne rimane incantato. Paranoico, attivo e molto noioso, nella vita è attualmente un laureato in lettere con velleità editoriali. Nel tempo libero cerca di spacciarsi come macellaio.

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